Intervista a Lucio Bardi

Lucio, la tua formazione musicale è milanese, l’inizio del tuo lavoro è a Milano e quindi che rapporto hai con la storia del Folkstudio?

Mah… quasi nessuno, se non per sentito dire. Io ho visto Luigi in concerto da ragazzino: erano le prime volte in cui seguivo mia sorella e i musicisti con cui lei stava cominciando e capitammo una sera — ricostruendo con Luigi direi che siamo riusciti a identificare il periodo intorno al ’72 o ’73 — nella sede originale di Re Nudo di Andrea Valcarenghi che era a Milano, in via Maroncelli 14, proprio di fronte a casa dei miei nonni.

Andammo lì una sera, io accompagnavo Donatella, con Finardi e Camerini, suonando il mandolino, il banjo e la chitarra acustica…

Luigi lo conobbi anni dopo. Donatella lo incontrava ai concerti, lei aveva una manager, Luigi non lo so, e probabilmente si incontravano. Lo conobbi quando incominciai nell’88 a lavorare con Francesco. L’avevo visto, l’avevo incontrato, avevo addirittura dei suoi manifesti in cantina perché probabilmente li aveva lasciati a mia sorella, ma non avevo mai parlato con lui. Parlando e diventando amici, mi raccontò del Folkstudio — io ne avevo letto ovviamente da qualche parte, e ce ne parlava Francesco. Insieme a Francesco suonai in una delle ultime sedi del Folkstudio, credo che fosse dietro via Nazionale, adesso non so dirti.

Il mio rapporto è solo così, superficiale, io vivevo a Milano.

 

A proposito di tua sorella Donatella, ti ho sentito in una serata dei “Giovani del Folkstudio”fare un suo pezzo, con un tuo arrangiamento bellissimo…

È “Case Nere”, è un brano scritto tantissimi anni fa, almeno cinquanta, che ha cambiato veste, testo, tema diverse volte nel corso degli anni… Pensa che una delle prime versioni la suonammo insieme nel 1976 a Roma, a Villa Ada, in un festival al quale partecipò anche Edoardo Bennato con Roberto Ciotti (ho la registrazione che lo conferma), era davvero una delle prime versioni… In tempi molto più recenti, Donatella mi chiese di sostituire la musica con una parte chitarristica che io avevo scritto per i ragazzi delle scuole di chitarra nelle quali insegnavo. Il brano, strumentale, aveva un sapore orientale che si abbinava bene con l’elaborazione che lei aveva fatto con il testo e quindi con il senso della canzone. Un brano sulle guerre, contro le guerre, contro i conflitti in genere, ma all’epoca si riferiva certamente al terribile conflitto in Palestina… un brano che oggi è divenuto molto attuale…

 

Quando la nominiamo mi racconti sempre di quanto sia stata importante nella tua formazione, nella tua crescita. Ti va di tornarci su?

Come no, volentieri. Il motivo per cui ho cominciato a suonare è proprio questo. Donatella era già un bel po’ avanti. Lei è nata nel ’54, io nel ’58, sono quattro anni e mezzo di differenza, quindi lei era già grande quando io ancora ero un adolescente coi brufoli. E lei, frequentando il liceo Beccaria, entrò in un mondo dove c’erano Gagliardi, Roberto Colombo che poi diventò produttore, Alberto Camerini, suo fratello Mario, Eugenio Finardi, tutto quel gruppo di milanesi. Lei era tredicenne. Ah, Camerini aveva diciassette anni e fu molto importante, lui da fidanzato di mia sorella, mi prestava delle chitarre.

Quando ero molto piccolo, loro andavano già al Carta Vetrata” di Bollate che era un locale molto frequentato dal background milanese, e non solo. E così cominciavo a frequentare da piccolo tutto quel mondo musicale che stava nascendo intorno a Milano.

Quindi, ti dicevo, lei cominciò molto presto e fece insieme a tutti questi che gravitavano intorno a quel liceo e a quel mondo un gruppo musicale… Alberto mi ricordo che verso la fine anni ’60 aveva un gruppo in una cantina di un certo Cavallazzi credo, dove andavano a suonare tutti loro, Antonello Vitale, Ezio Malgrati alla batteria, Eugenio Finardi giovanissimo, voce, chitarra, armonica, insieme a Gianfranco Gagliardi alle tastiere, Camerini alle chitarre, un bassista che si chiama Alberto Tenconi. Avevano questo gruppo che si chiamava Dreaming Bus Blues Band. Poi dalle ceneri di questo gruppo nacque Il Pacco” un gruppo interamente loro, con Paolo Donnarumma al basso. Donatella in qualità di fidanzatina di Alberto andava anche lei lì e io ogni tanto la accompagnavo.

Donatella cercò in tutta la vita di promuovermi…

 

…di aprirti la strada…

A casa mia si ascoltava una quantità incredibile di musica perché mio padre era appassionato di jazz, musica classica, mia zia ascoltava i francesi. Spesso noi, siccome mio padre era un personaggio pubblico, restavamo dai nonni e lì ascoltavamo Edith Piaf, Moustaki, Jacques Brel, Georges Brassens. Però Donatella, appassionata di musica, incominciò a cantare con la prima chitarra che ci facemmo comprare da mia madre. Lei era brava, aveva una facilità incredibile, e quindi Alberto cominciò a portarla in giro di qua e di là e tutti rimanevano stupiti da questa voce pazzesca che aveva e quindi entrò quasi immediatamente…. per dirti, il suo primo contratto discografico — anzi l’unico — lei lo fece nel ’73 con la Warner, furono loro a chiamarla. Prima di Finardi, prima di Camerini fu contattata Lei per un contratto discografico. E quindi insomma, capisci, io la seguivo, io ero un adolescente e lei cercava in tutti i modi di promuovermi perché mi voleva bene, perché sapeva che mi piaceva la musica, che la amavo e allora mi portava in giro con lei.

Gli altri non mi volevano, non ne potevano più di questo fratellino…

 

…eri il fratellino piccolo appresso alla sorella! (Ridiamo)

Esatto! E anni dopo io ho fatto una serata in ricordo del festival di Re Nudo di Zerbo insieme a Eugenio, ci siamo incontrati lì e abbiamo fatto un pezzo di blues insieme, e lui mi raccontò che proprio a Zerbo, che era uno dei pochi, forse l’unico a cui io non ho partecipato, quando Donatella disse “allora viene anche il mio fratellino” ci fu un coro, lui si oppose: “Basta con sto cazzo di fratellino!”. Me lo raccontò ridendo, ormai erano passati quarantacinque anni.

 

Lucio, in quella serata dei “Giovani del Folkstudio” sei salito sul palco anche insieme a Rocco Rosignoli.

Eh eh, è stata una richiesta di Luigi.

 

Mi pare che ti piaccia sempre affiancare questi cantautori delle generazioni più recenti…

Lo faccio con un mio carissimo amico che si chiama Daniele De Gregori, cantautore romano. Insieme abbiamo fatto anche un video tutorial su L’isola che non c’è di Bennato.

Qualche volta lui mi ha chiamato: “dai, accompagnami” e qualche volta io ho fatto altrettanto con lui. Così Luigi ci ha contattato e siamo andati insieme allAsino che vola due o tre volte, ma al di fuori di questo non accade.

 

Tu hai conosciuto i grandi cantautori, ci hai suonato insieme. Quando ascolti questi artisti più recenti che analogie e che differenze trovi fra quelli e questa generazione?

Fa un certo effetto sentire uno che a venticinque, o anche a quarant’anni, si veste, suona, canta un po’ come Guccini, può sembrare una stranezza, e magari un po’ mi fa impressione. Però sono più vicino a quel modo lì piuttosto che a Mahmood, mi spiego? Io non riesco a capire molto le cose che ascolto oggi. Di uno come Daniele De Gregori apprezzo che non cerchi di cantare come Guccini ma sia sé stesso, ecco, quello che mi piace di Daniele è questo, che è sé stesso. Non cerca di copiare De Gregori, magari nella scrittura gli capita, però non nel modo di cantare.

Di uno come Rocco, invece, la prima impressione è che canta cose importanti, parla della strage di Bologna, racconta cose che hanno fatto parte della vita italiana, e lo fa alla  Lolli,  alla Guccini… Questa è la ragione principale per cui Luigi l’ha chiamato una sera, perché è strano sentire uno che ancora racconta di queste cose importanti della storia italiana, per cui ben venga e devo dire che un po’ mi stupisce…

 

…ti stupisce in che senso?

Nel senso che penso: Madonna, questo parla di cose che non può avere vissuto, non può avere sentito. Poi certo, Rocco, o altri che ho sentito cantare in quel modo, quando ripropongono quel genere lo fanno anche dal punto di vista stilistico oltre che dei contenuti. Questa è la prima impressione, poi ascolto, ci penso e dico però, che bello! Bravo”.

 

Daltra parte dichiara una discendenza comune con Guccini, il Nuovo Canzoniere, il Cantacronache…

Ben venga!

 

Rocco mi sembrava un pointimorito allinizio…

Io lho fatto molto volentieri e lui pure, mi sembra. È venuto bene…

 

…siete entrati in sintonia nellarco di due canzoni…

Beh, mi piace anche partecipare a una cosa che abbia quel peso. Sono molto pochi quelli che parlano di cose così.

 

È vero. E tu attualmente cosa fai?

A Roma sto suonando nei locali, ma per divertimento. Sono uscito da questo giro alla fine del lavoro con De Gregori. Però mi sto dedicando al recupero della vita di pittore di mio padre, il pittore Mario Bardi, stanno organizzando una mostra in Sicilia in autunno.

E poi mi è venuta questa idea di fare qualcosa per lei, per Donatella, visto che le devo tanto. Lei mi ha buttato, mi ha fatto ruzzolare in questo mondo da adolescente, e ne sono uscito cinquantanni dopo. Ci ho lavorato e vissuto per tanti anni, lei poi ha smesso e io invece ho continuato, sono andato avanti felicemente grazie a lei. E allora perché non ricordarla, visto che allepoca è stata unartista di cui parlavano tutti?

Mi ricordo che la prima volta che ho lavorato con Francesco, la prima cosa che mi domandò fu Che fine ha fatto tua sorella, perché non canta più?”. E poi a un concerto a Milano gliela presentai, la portai lì e fu contentissima. E mi ricordo che nel dopo concerto, credo ad Assago, cerano Luzzatto Fegiz, tutti questi giornalisti dellepoca che partecipavano a quella serata: Ehi, Donatellina, come stai? Quanto tempo che non ci si vede!”. Quindi la conoscevano tutti, si ricordavano di lei, anche dopo anni.

 

Ma cosa l’aveva portata a decidere di smettere?

Era stufa di essere trattata in un certo modo, non trovava più il modo di rientrare dopo una défaillance, non riusciva a ingranare come avrebbe voluto, il rapporto con la tour manager era difficile… insomma, non riusciva a esprimersi.

Cera una specie di incompatibilità caratteriale, non era un’arrivista, quello che le piaceva era stare sul palco e cantare, era un pocasa sua. Ma non mordeva il freno, non era capace di fare qualunque cosa pur di rimanere lì. E quindi decise di investire sulla vita privata e sulla famiglia.

Poi ricominciò a studiare canto lirico, riprese i rapporti, partecipò a delle registrazioni, come il secondo Volo Magico di Claudio Rocchi… gli stessi musicisti con cui aveva cominciato la chiamavano per la voce, per fare i cori. Sentiva il loro affetto, e così ripartì…

Lucio, questa faccenda che stai lavorando per tuo padre, per Donatella… pensavo che è emblematica. Tu sei il chitarrista che sappiamo, ma quello che rende unica la tua storia è che hai sempre lavorato per far brillare altri. Pur essendo il chitarrista che sei, hai legato il tuo nome e la tua carriera ai cantautori… ti è mancato qualcosa?

Mah, non essere diventato, magari per carattere, un solista, un bomber, un Totti. Ecco, questo magari è un pofrustrante. Però alla fine la mia carriera lho fatta, mi son divertito, mi è piaciuto.

È il mio carattere, io non sono uno che si mette in mostra, così produttori e cantautori mi usavano un pocome un musicista di sezione”, quello che fa da sostegno. Tranne allinizio — quando ho cominciato non era così. Con Bennato io ero chitarrista, poi sono dovuto partire militare e sono stato sostituito. Però “Lisola che non c’è”, Mangiafuoco”, le ho fatte da bomber!

 

Daltra parte alla tua storia la canzone dautore non è estranea, sei cresciuto anche con Edith Piaf, la stessa Donatella stava in quel mondo lì…

Quando Donatella ha cominciato non era una cantautrice, anche perché i cantautori son venuti dopo. Era una folk singer, si chiamavano così. Cantava le canzoni popolari, le canzoni di De André, le canzoni folk americane, inglesi.

E quando fece il disco non le fecero fare le cose sue. Presero magari spunti dalle cose che aveva in testa e i testi li fece qualcun altro. Non diventò una cantautrice, però in casa la canzone dautore era fondamentale. Nostro padre, che era un autore, ci diceva voi dovete fare gli autori, non gli interpreti; dovete scrivere”. Ma non è facile imporsi.

Insomma, per noi è sempre stata importante la musica dautore, ma io allinizio ero appassionato non a quello, all’inizio vedevo Hendrix, Clapton, capisci? Avevo undici anni, dodici anni. Allora, visto che non ascoltavo i testi, dopo qualche tempo Donatella mi dette da leggere questi due libri della Newton Compton Italiana, uno (a cura di Stefano Rizzo) era Bob Dylan, canzoni damore e di protesta,  laltro (con l’introduzione di Fernanda Pivano)  Bob Dylan: blues, ballate e canzoni. Avevano i testi delle canzoni di Dylan tradotti, così io, che non sapevo linglese (alle medie avevo scelto il francese…), potevo finalmente capire qualcosa… Non che fossero un granché (come peraltro la biografia di Scaduto, lessi pure quella), ma allepoca erano le uniche cose che cerano…

Beh, da lì cominciai a capire le canzoni, Donatella aveva messo laccento su quello che era importante. Lì mi sono accorto di quanto contasse il testo di una canzone, e di lì sono andato avanti.

Però io facevo parte delle band dei cantautori, in Bennato c’è molta attenzione ai testi, e anche per Vecchioni, e non parliamo di De Gregori. Sono andato contento e felice in quel mondo, mi era congeniale. Mi sentivo a casa mia, altrove mi sarei sentito meno a casa mia. Anche se ho fatto tour e dischi con Marcella Bella, Patti Pravo, Iva Zanicchi…

 

Per un chitarrista che suona con un cantautore è importante concentrarsi sul testo, esserne consapevole?

È importante, ma quando cominciavo, e mi hanno fatto lavorare immediatamente, lattenzione la mettevo sugli strumenti, sulla musica. E poi, appunto, via via ho cominciato a metterla sui testi, quando sono arrivato con Bennato quello che diceva lautore era importante, cambia un poil tuo modo di partecipare.

Sai, se stai parlando del Titanic è importante come ti poni, col tuo modo di suonare. Credo di sì.

 

Grazie, Lucio. E buon lavoro…

Grazie a te e a I giovani del Folkstudio”, per me è importante che si sappia di questo progetto che in questo momento è al centro della mia attenzione, il progetto di lavorare sulla memoria di questa cantautrice mancata. Lei negli anni, quando ha smesso, ha finalmente cominciato a scrivere, e poi noi abbiamo sempre continuato a suonare assieme, nei centro sociali, in piccoli centri culturali, facevamo comunque serate e lei portava le sue canzoni. Canzoni che son rimaste inedite, è un tesoro che conserviamo io e i suoi figli, e quindi ho pensato a un progetto discografico. Forse è un povelleitario ma ne sto parlando con alcuni editori. Ho pensato a un album, magari un doppio, una raccolta di canzoni con la sua voce — oggi c’è questa tecnologia che ti permette di recuperare e di pulire una traccia vocale — di canzoni antiche, belle, come può essere Vuelvo al Sur di Piazzolla, e altre cose che ha fatto negli anni in esperienze diverse, e poi canzoni cantate dai cantautori con cui lei ha cominciato, o quelli con cui io ho suonato negli anni. Ne ho parlato di sfuggita anche con Roberto Vecchioni, che è venuto a Roma questo inverno. Tramite Germini, il suo chitarrista di adesso, lho contattato e sono andato a trovarli a cena e lui:che bello, che bello!”. Perché poi con lui c’è anche Lucio Fabbri, che era uno di quel gruppo lì, con Finardi, Camerini! Come ti sembra lidea?

 

Unidea bellissima e necessaria, è molto buono che ci stia pensando.

Lei ha fatto parte della nascita della musica ribelle” — non nel senso della canzone, ma nel senso di quellepoca. Ha cominciato quando cominciarono in tanti di quel periodo, quando cera musica diversa, non quella di Sanremo. Per me è una testimonianza…

Di Max Giuliani