INTERVISTE

Lucio, la tua formazione musicale è milanese, l'inizio del tuo lavoro è a Milano e quindi che rapporto hai con la storia del Folkstudio? Mah… quasi nessuno, se non per sentito dire. Io ho visto Luigi in concerto da ragazzino: erano le prime volte in cui seguivo mia sorella e i musicisti con cui lei stava cominciando e capitammo una sera

Ciao Fabrizio, partiamo da un po’ indietro? Comincio con una domanda storica. Tu hai attraversato esperienze che hanno un filo conduttore, dal Folkstudio a quello che fai oggi come organizzatore. Difficile non pensare al contesto in cui queste cose sono nate, Roma è stata una città davvero internazionale, il punto di incontro di una rete di artisti di tutto il

Daniele, in passato tu hai fatto altri mestieri, anche contemporaneamente alla musica. Cos’è che ha fatto vincere la canzone? Cos’è che hai sentito di irresistibile nello scrivere e nel cantare? Le canzoni sono sempre state il mio canale di comunicazione fin dal liceo e sono anche oggi il modo in cui tento di realizzare me stesso. Hanno accompagnato gli anni dell’università

Emanuele, nelle tue canzoni è come si ci fosse un dialogo continuo con una voce di fuori, quella voce di “Ok Emanuele”, che ti dice “Ok, piantala co’ ’ste canzoni e ’ste chitarre, la vita è un’altra cosa”. Chi è quella voce? Il mio problema è che cerco di parlare con me stesso — o forse sarebbe meglio dire con “i

Rocco, raccontami la tua storia artistica… Ho quarantadue anni e ho iniziato a suonare la chitarra a undici. La mia mira era semplice ma precisa: cantare le canzoni di Guccini. Studiai chitarra classica per due anni in un’ottima scuola, e imparai un sacco di cose ma nemmeno un singolo accordo. Era tutto utilissimo, ora lo so, ma di poca soddisfazione… quindi